headerphoto

Il ritorno del Moscatello di Taggia


Tratto da il Secolo XIX


ORA è ufficiale: il Moscatello di Taggia, forse il più antico e celebre vino dell’estremo Ponente ligure, sta per tornare sulle nostre tavole. Ed è un ritorno in grande stile, al quale alcuni “illuminati” vitivinicoltori locali lavorano da cinque anni, con il patrocinio della Regione Liguria, che ha inserito il progetto nel Programma Regionale “Sviluppo e Qualità della Viticoltura Ligure”, e con la collaborazione dell’Università di Torino, rappresentata dall’enologo Vincenzo Gerbi e dall’ampelografa Anna Schnaider.
Un momento storico, dunque, per la Riviera, che recupera così non solo una parte importante della propria tradizione enogastronomia, ma anche una risorsa economica ed un aspetto quasi perduto della propria identità culturale. Fin dal XIV secolo, infatti, il territorio della Podesteria di Taggia, che comprendeva anche Bussana, Arma e Riva, si specializzò nella produzione del Moscatello, ottenuto da un vitigno autoctono di origine incerta (risalirebbe addirittura alla colonizzazione greco-marsigliese del IV-III secolo a.C.), che ben si adattava al terreno ricco di arenarie e calcari marnosi tipico della zona. Questo vino dal caratteristico colore giallo paglierino, molto dolce con appena una punta di amarognolo, frizzante e profumato, fece rapidamente il giro di mezza Europa, approdando persino sulle tavole della corte papale. La richiesta era tale che, già nel 1405, la coltivazione del Moscatello si era estesa da Ventimiglia alla Val Bormida. Il commercio del vino si pose in breve tempo alla base dell’economia locale, in particolare di quella di Taggia, che visse un periodo di straordinaria prosperità. Quando, nei secoli successivi, la coltura dell’olivo in Liguria andò lentamente soppiantando quella della vite ed i vini francesi conquistarono le mode ed i gusti dell’epoca, il Moscatello di Taggia continuò comunque ad essere richiesto ed apprezzato. Fu solo con la fine dell’Ottocento che l’arretratezza della tecnica vinificatoria e l’attacco congiunto di insetti e malattie segnarono fatalmente il destino dello storico vitigno. Tutto era perduto, o quasi: solo qualche sporadica piantina sopravviveva...
E così arriviamo ai giorni nostri. Nel 2002 la Atene Edizioni di Arma di Taggia, che copre un settore dell’editoria di nicchia, pubblica il libro “L’Ambrosia degli Dei. Il moscatello di Taggia alle radici della vitivinicoltura ligure”, in cui l’autore Alessandro Carassale ricostruisce le vicende di questo vino, descrivendone anche l’aspetto tecnico della produzione e le caratteristiche enologiche. Il testo attira subito l’attenzione delle istituzioni e di alcuni viticoltori locali: tra questi c’è Eros Mammoliti che, insieme a due aziende agricole di Ceriana, Barucchi e Rodi, decide di avviare un progetto di ricerca e riscoperta dell’antico vitigno. Dopo un preliminare studio di osservazione e catalogazione delle rare piante di Moscatello ancora esistenti, che ha permesso di identificare i ceppi utili per la sperimentazione, si è passati alla valutazione del mosto e del vino ottenuto. Il rigido protocollo sulla raccolta e sul processo di produzione, applicato presso la cantina dello stesso Mammoliti con la consulenza dell’enologo Lorenzo Tablino, ha dato subito esiti molto incoraggianti, supportati poi dalle analisi che hanno confermato la validità enologica del prodotto.
I risultati di questa “avventura” saranno esposti domani, alle ore 17, presso l’ipermercato Leclerc di Arma di Taggia, nel corso del convegno sui vini e i vitigni liguri organizzato dalla Atene Edizioni, in occasione della presentazione del nuovo libro di A. Carassale, A. Giacobbe e M. Feola, “Atlante dei vitigni del Ponente ligure”. All’evento interverranno anche il delegato provinciale dell’Associazione italiana sommelier Mario Bensa e lo chef Marcello Panizzi, oltre all’assessore regionale all’Agricoltura Giancarlo Cassini e al presidente della Provincia Gianni Giuliano.

0 commenti: